L’architetto Stefania Galante ci offre una riflessione sui progetti LIVING esposti durante l’evento Agorà Design, si parla di luce, materia e funzione.

La pandemia da Covid-19 che ha costretto gli abitanti all’interno delle loro case per un lungo tempo, ha aperto una nuova grande riflessione sull’abitare.


Nonostante, infatti, gli enormi cambiamenti sociali dell’ultimo secolo, che hanno coinvolto anche le relazioni familiari, la casa è cambiata poco nella sua concezione, non solo costruttiva ma anche dimensionale, distributiva e relazionale.

Gli abitanti si sono ritrovati protagonisti di questa stasi abitativa che li ha spinti, complici i bonus edilizi, a risolvere almeno in parte i limiti delle loro case. Troppo piccole, prive di spazi aperti, senza possibilità di privacy.

Laddove non si poteva intervenire con un progetto di ristrutturazione, si è ricorsi a modificare l’arredo per rendere gli spazi più efficienti e funzionali.
Perché “In realtà la forma-casa – il suolo, il tetto, le pareti – è per definizione inabitabile. (…) Abitiamo in un mondo che è sempre popolato da altri esseri umani, da piante, da animali e dagli oggetti più disparati. E questi oggetti non sono estensione: non si limitano ad occupare volume, piuttosto lo aprono, lo rendono possibile. (…) Abitiamo davvero solo le cose”.[1]

Le nuove tendenze dell’architettura d’interni

Se è ai designer che spetta il compito di generare le cose che rendono possibile abitare le case, è nei loro progetti che si possono trovare le risposte a rinnovate esigenze o soluzioni a problemi non ancora del tutto compresi (“progetto” deriva infatti dal latino “pro” (avanti) e “jacere” (gettare) cioè “gettare avanti”).
Di certo la sezione Living del contest Agorà Design, che si è tenuto dal 30 settembre al 3 ottobre, organizzato all’interno dell’omonimo evento tenutosi a Martano in Provincia di Lecce, organizzato dall’azienda Sprech, è stato un laboratorio per l’immaginario del nuovo abitare, alla luce degli eventi recenti.


Il tema di quest’anno, la biodiversità progettuale, si proponeva, non a caso, di indagare la capacità dei progettisti di generare risposte in funzione dell’ecosistema che abitano, della propria sensibilità e cultura che influenza, inevitabilmente, l’attività progettuale.
È stato interessante osservare che molti dei prototipi realizzati per il contest sono state lampade d’arredo.

Come ha osservato la lighting designer Bianca Tresoldi, alcuni anni fa, dalle pagine di Rivista studio, l’Occidente ha sconfitto il buio e il concetto di terrore ad esso connesso, grazie all’illuminazione con cui è riuscito, infatti, “ad addomesticare l’ignoto e ad allontanare la paura.” Ma come sottolinea la progettista

“La luce è un materiale da costruzione architettonico, impalpabile ma con una forte struttura (…) in grado di creare forti impatti emotivi, contribuendo al benessere psico-fisico dell’individuo.”

I progetti LIVING di Agorà Design

Le lampade esposte ad Agorà Design, sembravano, infatti, più coinvolgere l’utente in un rapporto emotivo con la luce, attraverso il filtro dei materiali, dal marmo della Diamonì di Giacomo Rollo alle superfici cangianti della plastica riciclata della Galileo di Valentina Rocco, al corallo in PLA stampato in 3D di Impronta di Mirco Alberti, che svolgere la funzione tecnica dell’illuminazione.
Si potrebbe leggere in questi progetti il tentativo di dare alla luce artificiale, dopo i lockdown, non più il mero compito di sostituire quella naturale ma di renderla capace di far assumere agli spazi nuova espressività.

Protagonista insieme alla luce è stato l’intramontabile arredo trasformabile e multifunzione, diventato un’esigenza imprescindibile nel riadattare le nostre case a funzioni che avevano perso o che hanno acquistato in quest’ultimo periodo, dal lavoro, al tempo libero, all’attività fisica. È così che la libreria, bifacciale e autoportante, si dota, nel caso di Dotto di Maddalena Cotardo, di ante che diventano piani ribaltabili e di contenitori che nascondono al loro interno sgabelli per dare vita a due spazi di lavoro o di studio, o le sedie e i tavolini che si impilano per diventare un totem facile da riporre come in Kara di Marielita Monsellato.
Il legno d’ulivo è stato tra i materiali più utilizzati dai progettisti, nel tentativo di ottenere la menzione speciale del concorso per i progetti che lo recuperassero a nuova vita nell’arredo. Molte e diverse sono state le declinazioni di questo legno che ne hanno valorizzato la particolare venatura che racconta della sua nodosa e millenaria crescita. Ci sarebbe però piaciuto vedere almeno un progetto che portasse ad una riflessione sull’enorme tragedia ambientale, economica e culturale che si cela dietro l’esigenza del recupero così massivo del legno d’ulivo. Perché il design può aiutare a pensare e quando lo fa lascia il segno.

[1] E. COCCIA, Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, Einaudi Stile libero Extra, Torino, 2021, pp. 42-43