SPECIALE BALNEARI: inizia, con l’articolo di oggi, uno speciale dedicato alle strutture balneari, la loro storia culturale e architettonica.
A cura dell’architetto Stefania Galante
La cultura del bagno, e le architetture ad essa connesse, ha origini molto antiche ed è legata sino al XVIII secolo alla cura e alla salute del corpo. È in quest’epoca, infatti, che incominciano a sorgere e svilupparsi le prime città termali, Bath, Spa, e balneari, Scarborough, Brighton, Nizza.
Le città balneari in Italia
La prima città balneare in Italia fu Viareggio che, dopo l’ampliamento dell’area portuale e un intervento di bonifica della zona paludosa nel 1740, fu interessata, un decennio più tardi, da un processo di lottizzazione di residenze per villeggiatura; seguita da Livorno dove furono realizzati, nel 1781, i Bagni Baretti, uno stabilimento con piccoli camerini dentro cui bagnarsi.
Il timore della promiscuità dei bagni nelle acque marine portò, nel XVIII secolo, in Inghilterra, al progetto della bathing machine, primo vero intervento di design balneare, che fu utilizzato sino ai primi decenni del XX secolo. Si trattava di abitacoli in legno, privi di finestre, dotati di ruote e di una scaletta attraverso cui immergersi in acqua, utilizzati per trasportare i bagnanti, distinti per sesso, secondo traiettorie differenziate, dalle spiagge in prossimità del mare.
La bathing machine molto diffusa sulle spiagge britanniche, e su quelle americane dove fu dotata anche di motore, non fu, però, adottata in Italia, dove fu preferito lo stabilimento galleggiante che, tra gli anni venti e cinquanta dell’Ottocento, si diffuse sulle coste delle principali città marinare, Trieste, Ancona, Venezia e Genova.
Tra la fine dell’Ottocento e primi anni del Novecento, l’attrattività della balneazione si stava spostando dalla cura del corpo all’aspetto ludico ed edonistico e le stazioni si adeguarono proponendo ogni sorta di divertissement.
Inoltre, l’evoluzione dei costumi sociali, comportò l’inutilità di bagnarsi lontano dagli occhi indiscreti e portò i bagnanti a conquistare la spiaggia indossando abiti da bagno più appropriati.
LE CABINE E LE STRUTTURE TEMPORANEE
Gli stabilimenti balneari trasformarono i pontili, utilizzati inizialmente per immergersi direttamente a mare, in caffè, sale da concerto e da gioco, e diventarono spesso servizio dei grandi alberghi che, da quel momento, iniziarono a sorgere a ridosso delle spiagge, fornendo ogni tipo di comfort e di lusso ai vacanzieri.
Realizzata prevalentemente in legno, canne e stoffe, l’architettura balneare adottò, inizialmente, uno stile eclettico, storicista, che andava dal cinese al neoclassico.
Le strutture erano temporanee e pensate per una utilizzazione stagionale, e riflettevano il carattere ludico della funzione, ripreso anche nell’uso del colore con tinte inusuali, che permettevano il riconoscimento dei lidi anche a distanza.
Il passaggio a stabilimenti realizzati in cemento armato portò all’affermarsi di forme che puntavano a stupire attraverso le potenzialità plastiche della materia. L’archetipo della tenda e della capanna si cristallizzò in forme stabili espresse dal nuovo materiale.
Nonostante fossero strutture che consentivano le più ardite sperimentazioni, poche stazioni balneari furono progettate dai grandi maestri dell’architettura moderna (il trampolino al Kursaal, Ostia, del 1950 di P.L. Nervi e A. La Padula, e Venezia Lido di Giancarlo De Carlo realizzato tra il 1995 e il 2002).
Tuttavia la cultura balneare, ha sempre esercitato un fascino sugli architetti e i designers. Negli anni ’80, Aldo Rossi, durante un soggiorno all’isola d’Elba, ebbe l’occasione di riflettere sul carattere universale delle cabine e cogliendone l’aspetto domestico:
“La cabina è una piccola casa: è la riduzione della casa, è l’idea della casa”
la tradusse nella forma di un armadio. [1] Sempre negli anni ’80, Ugo la Pietra fondò a Cattolica l’Osservatorio di Cultura Balneare, “per studiare e approfondire questa particolare produzione marginale e propose per la prima volta un design territoriale”, in particolare una collezione di ceramiche a tema balneare. [2]
Grazie alla sua ‘osservazione’ delle costruzioni spontanee del Poetto, lungo la costa cagliaritana, o delle seconde case, lungo le coste ioniche, La Pietra, ebbe modo di evidenziare le caratteristiche formali ed espressive dell’architettura balneare dell’epoca cogliendone pregi e contraddizioni.
Quelle abitazioni, che ancora oggi popolano le coste italiane, riteneva, infatti, fossero dotate di un’autonomia creativa che si esprimeva nell’uso spregiudicato di materiali e stilemi, etichettato da alcuni ricercatori come “Postmoderno spontaneo” o “Eclettismo inconsapevole”. Le stesse case però erano anche espressione della trasformazione “rapida e brutale di un territorio di straordinaria bellezza, quale quello delle nostre coste” e dell’oscillazione dei luoghi delle vacanze “tra la frenesia estiva e l’abbandono invernale, fino al disastroso inquinamento dell’ambiente naturale”. [3].
Le acute riflessioni di Ugo La Pietra degli anni ’80 sarebbero diventate materia progettuale di architetti e designer negli anni successivi…ma questa è un’altra storia
[1] http://www.fondazionealdorossi.org/opere/1980-1989/armadio-cabina-dellelba/
[2] https://ugolapietra.com/anni-80/cultura-balneare/
[3] Ugo La Pietra, Argomenti per un dizionario del design, a cura di C. Vinti, Roma, 2019, pp. 263-264
L. Inzerillo (a cura di), Tra cielo e mare, Lo stabilimento balneare di Mondello, Palermo, 2009
I. Fera, L’architettura moderna va in vacanza, Una città balneare sullo stretto di Messina, Siracusa, 2011
BIOGRAFIA DELL’AUTRICE
Stefania Galante, architetto, si è laureata presso l’Università degli Studi di Firenze, dove ha studiato industrial design con il prof. Chigiotti. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli e una borsa di studio post-dottorato presso la Scuola Superiore Isufi, Università del Salento.
Ha lavorato a contratto presso la Direzione Patrimonio storico architettonico e Demoetnoantropologico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Settore Musei, e presso il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Pigorini di Roma, occupandosi di allestimenti museali e mostre.
Da circa 15 anni lavora come libero professionista occupandosi di interior design, exhibit design, product design con una particolare attenzione alla sostenibilità. Ha al suo attivo partecipazioni a mostre collettive con oggetti di design autoprodotto. Nel 2014 ha collaborato con un’azienda di marmi per la realizzazione di alcune lampade utilizzando gli scarti di produzione, esposte a Milano in occasione del Salone del Mobile del 2015, Fuorisalone, Ventura Lambrate, e a Roma presso la Galleria “La Linea Arte Contemporanea” nel dicembre 2015.
Ha insegnato presso l’Università del Salento, l’Accademia di Belle Arti di Lecce e attualmente per l’Istituto Design Matera.
É inoltre autore di saggi e articoli su riviste scientifiche e alcune sue realizzazioni sono state pubblicate in cataloghi mostra e testi specialistici.